Poesie

Una raccolta di poesie resa pubblica nel 1958 e perfezionata a inizio anni '60 che conta oltre 50 liriche dedicate ai grandi temi dell’esistenza: la giovinezza, la famiglia, la guerra, i sogni, gli amori.

Prismatici sogni fissati alla carta.
Tagliata la giubba, incollata la testa,
comincia ora la vostra avventura.
Avete una faccia che pare la luna,
alla bocca una smorfia un po' amara;
parlate del vostro problema:
"Il mondo che è fatto di pena".
Un grosso gilé a quattro colori
Un viso rosso a tre dimensioni.
E' l'uomo del circo che avanza
e grida ridendo:
"La vita è commedia!".
Due gatti sui tetti stan lì a guardare,
non hanno messaggi da dare,
ma sono felici così.
Dai quadri si staccano i miei personaggi,
mi vengono a prendere per mano:
"Fuggiamo lontano!"
Mi metto un vestito di carta ed entro nel mondo così.
Un poeta è morto.
L’hanno sepolto col suo vestito rotto.
L’hanno sepolto come fosse davvero morto.
Ma il suo cuore è dentro al nostro,
il suo viso disteso è il cielo,
la sua bara
la culla dell'Universo.
Un poeta è nel suo verso.
Nella lirica eterna cantilena del vento.
Bombe senza controllo
bucano il nostro tetto.
Aerei senza sosta
ronzano sulla piazza deserta.
La paura
dipinta su volti di cera
è l'unica maschera vera
in questo teatro di guerra.
La casa è distrutta.
La mia bambola è rotta
con gli occhi profondi
sbarrati per terra.
La mia bambola era bella!
Col mio dolore patisco
e rinnovo ogni giorno
l'antico dolore di Cristo!
Sacrificio che è dono.
Tributo che è denso.
Alto, sopra colonne
d’incenso!
È aprile!
Nelle colline scolorite
dietro il pesco in fiore!
Nelle stradine bianche
che corrono al mare!
È aprile!
Nell’odore di viole
nei fossi di Romagna!
È aprile nel mio cuore!
Nella bruna campagna
nella terra distesa di Romagna!
Dalle città nere
di formiche impazzite
siamo venuti a stenderci al Sole.
Dagli abituri grigi
di luci malsane
siamo venuti al Mare.
Vogliamo dimenticare;
vogliamo tornare felici.
Dagli occhi azzurri
mandare odore di fiordalisi.
Corri veloce destriero
verso il mare.
Affonda le tue ruote
sulla sabbia che scotta.
Voglio vedere le dune di sale
e poi, il Mare.
Dormire sull'acqua,
sentire una brezza sottile
che mi accarezzi la bocca,
ascoltare il canto claustrale
dell'onda che trova pace.
Vivere fino a sera,
tersa di cielo
come una vela.
Sul lido della mia giovinezza
ho trovato conchiglie di Sole.
Calici rosa
di trasparente candore
che dissetano ogni giorno
un passero sognatore.
Il pranzo da lire duecentosessanta
è finito.
L’amica continua il racconto
e tu, saldi il tuo conto.
Mi offri una sigaretta
e io accenno un sorriso.
Sei triste capisco.
Sei sola a combattere il mondo.
Il viso dipinto di rosso
tradisce un pallore nascosto.
Sei sola capisco.
Sei sola a saldare il tuo conto.
Il circo è vuoto
questa sera
che Grock se ne è andato.
Con un salto, una capriola
e il suo violino spezzato
Grock se ne è andato.
E noi ancora sulla pista
ad ascoltare il rullo del tamburo;
a guardare in alto;
a cercare una stella
che ci sorrida
come il suo bianco volto perduto.
La voce di Dio
rimbalza nel cielo;
nel mondo il peccato
alza
muri senza eco.
Ombre geometriche
corrono intorno alle case;
fantasmi di sogno intorno al mondo.
In cerchi di spazio infinito
tutti corriamo
e tutti intorno a Dio!
La danza
è l’anima libera;
è la gioia che vibra
dopo l’umana fatica.
È desiderio di vita
invocato da trepide dita.
Vorrei per una notte
seguire i salti e i guizzi
dei gatti
fra le case rotte!
Con occhi astrali
forare buchi nelle siepi
e cercare e scoprire
il mistero delle cose
e poi,
vegliare sulla luna che dorme,
nella palma di tenebre fonde,
nei disegni dell'ombre!
La folla?
Marea nera che avanza
e inonda la piazza,
spinge,
s’accalca,
cerca un’uscita,
grida.
Buona e cattiva
grano e zizzania
è tutto un campo che oscilla,
piega la testa,
stende le membra,
s'alza,
impreca,
dispera,
e rotola a terra.
Accogli per un momento
oh arco ferrigno
nel tuo ventre squarciato,
nel tuo respiro di fumo
un uomo solo, un uomo smarrito.
Accarezzalo con la tua mano incallita
conducilo fin sulla via
a mettersi in riga
dietro ad una fila lunga di gente smarrita.
Lenta risuona l’Ave Maria del giorno
e tu mi sei vicino.
Mi hai lasciato i petali del tuo Amore
sul volto!
Ce ne sono di gelsomino, di garofano,
di geranio.
Sono tutti i baci che io ricordo
mentre lenta risuona l’Ave Maria del giorno!
Amarti sotto il sole,
premerti il bel volto sul prato,
sorriderti in bocca,
questo, amore non è peccato!
La mia purezza di giglio
è tutta stesa sul prato
è tutta nuova e senza velo;
fresca
di questo amore che non è mistero.
Come narcisi
nei cavi bicchieri
gettiamo i nostri visi.
Occhi vividi, inquieti.
Pensieri senza contorni.
Nell’antro a colori violenti
in lanose spire di fumo
salgono i nostri lamenti.
Musiche ritmate di stenti,
di gridi, di vuoti tormenti.
Immagini rarefatte
in pause brevi e chiare.
Visioni riflesse
di vita attuale.
Sassi di arcaica bellezza,
cumuli alti di storia
ora immobili su questa riva.
Civiltà silenziosa
la mano ti sfiora,
la carne ancora viva
ti tocca, ti lima.
Rugosità petrosa
meta della memoria:
convegno dell’era presente con l’era remota.
Danza l’anima mia
nel suo vestito di seta;
se il cuore batte alle dita
e il vento riscalda la gola: è gioia!
Quella che culla una foglia,
che muove quell’onda.
Ritmo di vita.
Fantastica danza di aria pulita.
Chiarine di vetro
suonate nel mio cuore
ora lieto.
Fuochi di gioia
brillate nel mio animo
ora sereno.
Esito e tremo.
Non ardisco gettare
il mio spirito
nelle strade del mondo.
Il lento grigiore
spegne ogni slancio,
ogni moto di vita interiore.
Luminoso chiarore
resta ancora nel mio cuore!
Dalle città nere
di formiche impazzite
siamo venuti
a stenderci al sole;
dagli abituri grigi
di luci malsane
siamo venuti
a vedere il mare.
Vogliamo dimenticare.
Vogliamo tornare felici.
Dagli occhi azzurri
mandare odore di fiordalisi.
La campagna d’agosto
non ha odore di mosto,
non ha odore di grano.
Polveroso è il fieno,
rosseggiante il piano.
Fiorito un girasole
occhieggia
di lontano.
Contro sportelli di legno
si schiacciano i sogni del mondo!
Donne dal volto giallino
non hanno più casa,
più latte per l’ultimo magro bambino.
Che visi sconvolti! Che volti!
davanti agli altari di legno!
Gli sguardi del povero infermo,
le grida dell’uomo violento.
Attaccata alla dura barriera
rimane per tutti
la larva più nera:
l’umana speranza
d’un’ora più lieta!
L’aria calda di questa stagione
ha riscaldato le pietre del Settentrione.
I nostri sassi bianchi
si sono fatti lucenti.
Al peso di ruote giganti
non hanno più lamenti
e, come poveri mendicanti,
premono i fianchi
sulla terra arsa.
Una lucertola passa
e l’Estate con essa.
Poi, scenderà lenta
nel cielo
una nuvola nera;
sui sassi bianchi
una lunga fredda sera.
Gialle di cadmio
fra siepi al tramonto
campane di fuoco
in trepido ascolto!
Un bacio all’orecchio;
lieve sussulto
in un fruscio di ansie
profondo!
Campane di cadmio
il nostro abbandono
è il vostro.
Fremito d’amore segreto
in un fluire sommesso
di larghe sere di vento!
Addii di madreperla
s’odono
nelle increspature dell’aria.
Occhi umidi
che si dilatano
nell’acqua!
Prima che venga la sera
un uccello con la sua ala
verrà a morire
in questa spiaggia,
in una lenta malinconia di sabbia!
Ho baciato la montagna
in un rivo d’acqua chiara.
Fluorescenti eran le labbra
che m’offriva la montagna!
Nella crepa liscia e nera
radunate ho le mie membra
e, nell’attimo di pietra
ho tremato,
ed un brivido di foglie
ho ammucchiato!
Carezzevole smeraldo
la montagna era di ghiaccio!
Nella fossa bagnata della morte
si calano
i corpi senza tremore.
Di moto in moto
si radunano
le anime,
le ombre con le ombre.
Tra le occhiaie fonde
affiora solo il ricordo
di bianche spiagge di sole
di verdi colline d’amore!
Tra le nostre pupille
si stendono lunghe
rotaie ferroviarie.
Fili di alta tensione
ripetono i nostri colloqui
ad ogni stazione.
Colombe scarmigliate
corrono tra noi
e l’umida cavità astrale!
Distruggiamo tutte le pendole
polverose!
Solo le nostre dita unite
scandiscono meravigliose unità
senza ore
lontananze senza angosce!
Lini bianchi
ci calamitano
e ci conducono
a culle profumate di latte!
Alitano intorno ai prati
sospiri rigonfi
su fazzoletti quadrati!
Lini bianchi
ci asciugano
e ci avvolgono
in tersi lenzuoli di morte!
Pallidi fiumi
ci lambiscono
e ci coprono bianche
nudità di polvere!
La Natura nel suo slancio
si unisce lieve
al nostro abbraccio.
Incanto divino.
Amore: “Io vivo!”
Vivo come un fiore,
come un albero antico.
Amore, non togliermi il respiro.
Voglio gridare
al sole: “Io vivo!”
Sulla strada d’asfalto
sangue umano
liquido scorre sotto le auto.
Non voglio vederle queste croci dal vento divelte
queste lacrime nere di pianto.
È stato l’Ignoto
a lacerare una vita nel vuoto.
Non voglio sentirle queste grida ringhianti di moto
che ripetono l’eco del Fato.
È stato l’Ignoto
ad afferrare la vita dell’Uomo.
Dei di una società stanca,
cerberi di un’umanità laboriosa.
Alta è la gloria ora.
Il potere assiso
in molle poltrona.
Ma la storia non perdona
e il vero Dio non consola.
Troppa colpa vi pesa,
e troppa gente
suda ancora di paura.
Massicce statue dominanti la scena.
Il tempo e la giustizia
vi scioglieranno in creta.
Nell’arco di gravide note
una musica ascolto,
che è puro colloquio.
Linfa dello spirito
tesa in astratto.
Dall’accordato strumento
al mio mondo
continuo crescendo
di nuove armonie,
nuove per l’animo
come parole d’amore.
Ascolto.
E, la musica nel suo divenire
è ora dolce, ora sublime;
ma non è sogno
questo mio sentire!
Le ragazze sono belle
di sera
sotto le stelle.
Tremanti come oleandri,
creature sognanti,
fragili come poeti erranti,
tenui come farfalle,
odorose come zagare.
Di sera sotto i viali delle stelle
le ragazze sono belle!
Fili di luce
penetrano nella camera dolente.
Il letto bianco
che accoglie le tue ossa
si apre.
Il tuo corpo di tenebre
si apre.
E la vita piano riappare
nel suo fosforescente bagliore.
Con capelli di grano
e bocche di geranio
ecco l’Estate
con i suoi canti!
Togliamoci per la festa
il vestito di cotone,
copriamoci il corpo
con un bel fiore!
Dorate cicale
apriteci nei boschi
i vostri nidi di sogni!
La terra ci succhia i pensieri.
Corriamo con mille ceri accesi
ai porti dell’Estate,
ai porti dell’Amore!
Portami il tuo Amore
in nappi di luce,
perché io prema forte
le mie labbra
sulle tue.
Portami folate di calore
e tenere piume,
perché io stenda dolce
le mie mani
nelle tue.
Portami il tuo sorriso
in effluvi di mirto,
perché inebri il mio corpo
col tuo Amore più vivo.
Narici gonfie di sole
e fiori per le strade!
14 luglio. Festa a Paapete!
Negri impazziti d’amore
ballano con ragazze di colore!
La festa va avanti per ore e ore.
Vita e sensualità
corrono, corrono in fiumi di sudore!
Camions carichi di banane
e di allegre sottane
vanno alla festa di Paapete!
Negri che hanno troppa sete
vanno alla festa di Paapete!
Vita e sensualità
annegano il 14 luglio
nelle sale, nelle piste,
nelle danze di Paapete!
“Viva la Rivoluzione!”
Urlano gli altoparlanti dalle voci roche
in tutte le piazze di Paapete!
Muri di calce
come aghi
dritti nel cielo
i miei aneliti d’Infinito!
In alto su gru di metallo
libero
i miei sogni nel cielo!
Bagno
i miei occhi
di chiaro, d’azzurro, d’immenso!
Natura mutevole.
Ieri
l’uomo era vivo
ed ora
è di piombo.
Al mattino
il fiore è bianco
e poi
si fa vermiglio.
Natura mutevole
qual è la tua sorte?
Non so.
Non credo alla morte.
Come narcisi
nei cavi bicchieri
gettiamo i nostri visi.
Occhi vividi, inquieti.
Pensieri senza contorni.
Nell’antro a colori violenti
lanose spire di fumo:
salgono i nostri lamenti.
Musiche ritmate di stenti,
gridi, vuoti tormenti.
Immagini rarefatte,
brevi pause ancora chiare:
visioni riflesse
di vita attuale.
Rotondità di foglie
trasparenti
e spumante di rose
stillan le sue gote!
Visino fresco di betulle
ci viene dal Nulla
coi rossi piedini di cera!
È l’angelo della nostra attesa!
È la sfera di porpora
che ci rinnova,
entro cune di pianto
e di gioia!
Camminavo sul lido
senza pensiero.
La mia orma mi seguiva dietro.
Un’onda dopo l’altra
levigava la sabbia.
Un’onda dopo l’altra
mi distruggeva
ed io non lo sapevo.
Camminavo sul lido
senza pensiero.
La mia mano è un ramo.
Tentacolo vivo
proteso nel buio.
Sento che intorno
è mistero.
Disegno nel vuoto,
con dita di fuoco
leggero arabesco.
Desiderio senza senso;
tuffare una mano nel greve Universo.
In questo meriggio di caldo
sgorga dall’occhio mio glauco
un pianto come cristallo.
Lacrime che si frantumano
e vanno;
stille che si succedono
come monotono dolce rosario.
La pioggia ha cancellato il mio nome.
Poche lettere nere
saltavano
sul cartellone.
Vane parole e corvi
gracidavano intorno.
Poi, è venuta la pioggia
e mi ha bagnato il volto.
Con mani intrise di pioggia
ritorno,
dal vuoto del mondo
al mio solitario buco profondo.
Amore! Amore!
La Natura e Dio vogliono: Amore!
Respiro caldo del cuore
che ci avvolga
in una pena senza dolore.
Trema la tua mano; le tue labbra
mi sfiorano il viso di corallo.
Dritti contro una siepe
di sera,
ripetiamo insieme
una favola antica:
quella che l’onda racconta
di sera
dolcemente alla riva.
Hai lasciato la bruma valle
per portare il tuo cuore
alle montagne!
E ora lo spirito tuo mattinale
libero ascende
e affonda chiodi di dolore
e si fa di nuovo al Creatore!
Felice te, chè hai acceso bivacchi
alle montagne,
chè hai scalato i silenzi delle ore,
che hai lasciato alle rocce
il peso della carne
e di ferite livide di sangue!
Hai lasciato la bruma valle
e ora alto e muto
come un’aquila regale
contempli solo
distese di neve.